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L'Angolo delle Fate
14 Anni 10 Mesi fa #4404
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re:L'Angolo delle Fate
I Nostri Brian Froud e Alan Lee dicono che nelle notti di luna piena, osservando la vetta del monte Bianco, la si vede risplendere di bagliori dorati: sono le Fate che giocano con palline d'oro, di berillio e d'acquamarina. Le pareti delle caverne scelte dalle Fate per dimora trasudano gocce dorate e l'intera cime del monte Bianco è d'oro purissimo celato dai ghiacci perenni.
Alcuni cacciatori, inseguendo la preda, si erano inoltrati sulle pendici del monte Cistella in Val Divedro. A un certo punto notarono che il paesaggio stava mutando e ben presto scorsero caverne con immensi tesori e pozzi d'argento vivo. Corsero allora a prendere secchi per attingervi e ceste per raccogliere oro e pietre preziose ma quando ritornarono tutto era cambiato di nuovo, spariti i punti di riferimento e le tracce che avevano lasciato; vagarono così per giorni e notti inutilmente.
Nell'Alta Val Venosta e nella Bassa Engadina tra le spaccature della roccia e del terreno sono nascosti i tesori delle Diale. Queste magiche creature sono bellissime fanciulle ma si riconoscono facilmente perchè hanno il piede caprino: guai a innamorarsene perchè le Diale sono imparentate con il demonio
Alcuni cacciatori, inseguendo la preda, si erano inoltrati sulle pendici del monte Cistella in Val Divedro. A un certo punto notarono che il paesaggio stava mutando e ben presto scorsero caverne con immensi tesori e pozzi d'argento vivo. Corsero allora a prendere secchi per attingervi e ceste per raccogliere oro e pietre preziose ma quando ritornarono tutto era cambiato di nuovo, spariti i punti di riferimento e le tracce che avevano lasciato; vagarono così per giorni e notti inutilmente.
Nell'Alta Val Venosta e nella Bassa Engadina tra le spaccature della roccia e del terreno sono nascosti i tesori delle Diale. Queste magiche creature sono bellissime fanciulle ma si riconoscono facilmente perchè hanno il piede caprino: guai a innamorarsene perchè le Diale sono imparentate con il demonio
14 Anni 10 Mesi fa #4405
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re:L'Angolo delle Fate
Brian Froud e Alan Lee dicono che terrapieni, forti e colli antichi sono le dimore tradizionali delle Fate. La parola gaelica che indica le Fate è Sidhe (Shee), che significa popolo delle colline. Di notte le colline abitate dalle Fate si vedono spesso risplendere di miriadi di luci scintillanti. Talvolta la collina si solleva su pilastri, rivelando le luci vivide delle Fate che lentamente si allontanano in processione verso un'altra collina. Il periodo di Lammas, e specialmente il 7 agosto, è l'epoca in cui tradizionalmente ciò avviene. E' invece dopo Ognissanti il periodo in cui preferiscono cambiare dimora gli Uomini della Collina, chiamati anche Porcari, il più temuto dei popoli elfici dell'Isola di Man. Chi è saggio, nelle notti dopo Ognissanti non se ne va a zonzo. I Porcari usano sentieri e vie molto battuti, che di solito corrono in linea retta da una collina all'altra; secoli di spostamenti di questo tipo hanno formato un'invisibile rete elfica che si stende su tutto il paese. Millennio dopo millennio agli incroci di questi sentieri si è formato un accumulo di forza residua: questi crocevia sono spesso vicini a luoghi di riunione degli uomini. E' senza dubbio sconsigliabile agli intrusi invadere le colline delle Fate (o altri luoghi in cui vivono), ma niente vieta un'osservazione discreta: un osservatore benevolo può essere ricompensato. Se le Fate sono riluttanti a uscire dalla loro collina, si può scoprire l'entrata camminando nove volte intorno alla collina con la luna piena. La via d'ingresso verrà allora rivelata.
- Consuelo
- Visitatori
14 Anni 10 Mesi fa #4415
da Consuelo
Risposta da Consuelo al topic Re:L'Angolo delle Fate
Le Fate In Francia
Fin dall'antichità le Fate sono state motivo ispiratore di innumerevoli ballate, racconti e canzoni di trovatori e poeti che illustrarono e cantarono bellezza, incantesimi, gesta e avventure di questi esseri affascinanti.
Nel medioevo, la leggenda bretone delle Fate di Loc-il-Du incantava dame e innamorati, e questi personaggi fantastici esercitavano un'influenza occulta, ma reale, in ogni luogo.
In Bretagna i ricordi e le usanze in proposito sono numerosi ed evidenziano il particolare rispetto degli abitanti della regione nei loro confronti.
Collin de Plancy racconta che alla nascita dei loro figli, i bretoni si preoccupavano immediatamente di apparecchiare nella stanza attigua a quella del parto una tavola abbondante e ricca di vivande per tre persone, al fine di rendersi favorevoli le fate dette le tre madri, e ringraziarle adeguatamente della loro visita propiziatoria e soprattutto per i doni particolari che avrebbero lasciato al neonato.
Sempre in Bretagna, come scrive Savi Lopez, le Fate hanno i loro corrispondenti spiriti maschi detti Fayou.
Nella stessa regione si tramanda inoltre il ricordo di particolari Fate, poste a tutela di menhir e altri monumenti druidici, le quali conoscevano il destino degli uomini e degli eventi, comandavano gli elementi ed erano in grado di spostarsi in un attimo da un capo all'altro del mondo. Ogni anno, all'inizio della primavera, celebravano una solenne festa notturna alla luce della luna piena, durante la quale consumavano un magico pranzo, per poi disperdersi alle prime luci dell'alba.
Secondo le fonti originali, queste fate erano vestite di bianco, esattamente come le sacerdotesse dei culti druidici.
Oltre queste tradizioni, dalle quali affiora il ricordo di antichi riti iniziatici e religiosi, si affermano numerose altre credenze, non di rado di natura superstiziosa.
Questi esseri, chiamati anche "Korrigans" - si afferma - non erano fatti né di carne, né di ossa, né di muscoli. Pertanto ciascuno di esse poteva diventare terribile come un'armata intera, oppure ridursi a dimensioni talmente ridotte da potersi posare su una spiga di segale senza curvarne il gambo. Mille testimonianze ci raccontano come i contadini potessero spesso sorprenderli nascosti a riposare sotto un ciuffo d'erba... E non v'era pastore, né mezzadro che le temesse, quando la notte calava, quando le nubi si abbassavano e la bruma offuscava a poco a poco ogni cosa, ed esse si riunivano formando ronde fantastiche. Ognuno sapeva che l'influenza di questi buoni gèni era per i villaggi benigna e benefica. Al tramonto, il loro fievole canto si levava lontano, per ritmare le danze delle giovinette. Esse leggevano nel gran libro aperto dei prati e dei boschi...
Fin dall'antichità le Fate sono state motivo ispiratore di innumerevoli ballate, racconti e canzoni di trovatori e poeti che illustrarono e cantarono bellezza, incantesimi, gesta e avventure di questi esseri affascinanti.
Nel medioevo, la leggenda bretone delle Fate di Loc-il-Du incantava dame e innamorati, e questi personaggi fantastici esercitavano un'influenza occulta, ma reale, in ogni luogo.
In Bretagna i ricordi e le usanze in proposito sono numerosi ed evidenziano il particolare rispetto degli abitanti della regione nei loro confronti.
Collin de Plancy racconta che alla nascita dei loro figli, i bretoni si preoccupavano immediatamente di apparecchiare nella stanza attigua a quella del parto una tavola abbondante e ricca di vivande per tre persone, al fine di rendersi favorevoli le fate dette le tre madri, e ringraziarle adeguatamente della loro visita propiziatoria e soprattutto per i doni particolari che avrebbero lasciato al neonato.
Sempre in Bretagna, come scrive Savi Lopez, le Fate hanno i loro corrispondenti spiriti maschi detti Fayou.
Nella stessa regione si tramanda inoltre il ricordo di particolari Fate, poste a tutela di menhir e altri monumenti druidici, le quali conoscevano il destino degli uomini e degli eventi, comandavano gli elementi ed erano in grado di spostarsi in un attimo da un capo all'altro del mondo. Ogni anno, all'inizio della primavera, celebravano una solenne festa notturna alla luce della luna piena, durante la quale consumavano un magico pranzo, per poi disperdersi alle prime luci dell'alba.
Secondo le fonti originali, queste fate erano vestite di bianco, esattamente come le sacerdotesse dei culti druidici.
Oltre queste tradizioni, dalle quali affiora il ricordo di antichi riti iniziatici e religiosi, si affermano numerose altre credenze, non di rado di natura superstiziosa.
Questi esseri, chiamati anche "Korrigans" - si afferma - non erano fatti né di carne, né di ossa, né di muscoli. Pertanto ciascuno di esse poteva diventare terribile come un'armata intera, oppure ridursi a dimensioni talmente ridotte da potersi posare su una spiga di segale senza curvarne il gambo. Mille testimonianze ci raccontano come i contadini potessero spesso sorprenderli nascosti a riposare sotto un ciuffo d'erba... E non v'era pastore, né mezzadro che le temesse, quando la notte calava, quando le nubi si abbassavano e la bruma offuscava a poco a poco ogni cosa, ed esse si riunivano formando ronde fantastiche. Ognuno sapeva che l'influenza di questi buoni gèni era per i villaggi benigna e benefica. Al tramonto, il loro fievole canto si levava lontano, per ritmare le danze delle giovinette. Esse leggevano nel gran libro aperto dei prati e dei boschi...
14 Anni 10 Mesi fa #4440
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re:L'Angolo delle Fate
*La leggenda del lago di Carezza**
Il Lago di Carezza, incastonato nella fitta foresta ai piedi del Latemàr, nelle Dolomiti, è noto per il gioco di colori delle sue acque cangianti durante la giornata, dal verde/blu, al rossastro, dall’oro fino al grigio cupo dei temporali: per questo motivo nella lingua ladina viene chiamato anche "Lec de Ergobando" (o "arcoboàn"), cioè "Lago dell'arcobaleno", un nome che gli si addice perfettamente.
Infatti, mentre gli altri laghi montani rispecchiano acque azzurre o verdi, quello di Carezza ha in sé tutti i colori dell’iride.
L’origine di tanta peculiare bellezza potrebbe trovarsi in questa antica leggenda alpina.
Molto, molto tempo fa, quando le fate e le ninfe popolavano ancora i boschi e le acque e, seppur raramente, era dato anche agli umani vederle, nelle profondità del lago di Carezza, in un magnifico palazzo tutto di madreperla e di marmo, abitava appunto una ninfa, Ondina.
Era una donna giovanissima di straordinaria bellezza: aveva i capelli neri e folti che contrastavano con gli occhi azzurri del color della pervinca nel cui sguardo un umano avrebbe potuto perdersi.
La carne del suo corpo bianca e compatta, liscia come seta incantava anche gli dei, la stessa stirpe da cui la ninfa proveniva. Ondina era solita, nelle notti di luna piena, raggiungere le rive del lago per cantare alla stregua di un usignolo, tanto che tutti gli animali che abitavano la fitta foresta di conifere che si può ammirare ancor oggi
attorno allo specchio d’acqua si radunavano intorno a lei e in silenzio si beavano del suo canto.
All’alba la fanciulla con un tuffo tornava nel suo palazzo lacustre, le splendide gambe mutate in coda di pesce: diventava in tutto e per tutto una sirena.
Qualche volta usciva anche di giorno, al sole di mezzogiorno.
Le piaceva lasciarsi accarezzare dai raggi, distesa sulle rocce della riva.
Si racconta che i pochi uomini che ebbero la fortuna di vederla abbiano terminato la loro vita in preda alla pazzia dopo aver cercato lei in ogni donna che incontravano.
Vicino al lago, nelle foreste che salgono fino alle cime del Latemàr, abitava un grande Mago: la sua era una magia cattiva, distruttiva e il suo potere grande.
Una notte, mentre creava nuove e oscure magie nella torre più alta del suo castello tra le rocce, udì un canto da cui fu irresistibilmente attratto; il vecchio, orrendo a vedersi, brutto di malvagità, per la prima volta in vita sua si sentì quasi umano: pareva che le pietre del suo cuore si stessero sgretolando al suono di quella melodia.
E volle sapere a chi apparteneva la voce incantata.
Così furtivamente si avvicinò al lago e quando vide la splendida donna che coperta solo dei suoi capelli cantava alla luna... seppe che doveva averla, in ogni modo.
Uscì allo scoperto, per avvicinarsi a lei, toccarla....
Ma come Ondina vide quel vecchio orrendo dalle mani adunche che si avvicinava- seppe subito chi era, riconobbe il Male, lei che era di natura divina- con un balzo scomparve nelle acque, lasciando al Mago solo il ricordo della sua bellissima immagine.
Da quel giorno lui provò in tutti i modi a catturare la Ninfa: usò i trucchi del travestimento, ma lei lo batteva in velocità, agilità e infine l’acqua era il suo elemento mentre il palazzo dove si rifugiava nelle profondità lacustri la proteggeva dal potente Stregone, il quale, vedendo fallire ogni tentativo di catturar la preda,
veniva preso sempre più spesso da crisi di rabbia paurose; allora scatenava sul Latemàr furiosi temporali e scagliava nel lago fulmini apocalittici: ma Ondina, al sicuro nel suo palazzo di marmo e madreperla, rideva di lui, e la sua risata, tra il frastuono degli elementi, arrivava al Mago, nel cupo castello tra le rocce, portandolo alla disperazione.
Così, un giorno, a malincuore, si decise a salire sul Vajolòn per consultare una “Stria del Masaré”, che abitava lassù in una caverna: era costei una creatura malefica quanto lui ma infinitamente più astuta.
La vecchia megera, dopo averlo ascoltato, si mise a ridere e disse, con voce chioccia di scherno:
- Ma guarda il grande Mago che si fa prender in giro da una piccola Ninfa, perché la vista di una bella femmina gli ha distrutto il cervello, tanto da non saper neppur più di quali magie è capace... da non crederci.
E ora ha bisogno di me...
Mi ricambierai questo favore un giorno.
Allora ascolta:
Ondina , la tua bella, non ha mai visto un arcobaleno.
Tu creane uno, sempre se ti ricordi come si fa, che abbia un capo sulle vette del Latemàr e l’altro sulla riva del lago.
Bada di farlo con i colori più splendenti che la tua magia può inventare, deve brillare più del sole.
Ondina non potrà fare a meno di uscire per veder una simile meraviglia, per lei sconosciuta.
Intanto tu ti travestirai da mercante, con folta barba bianca e lunghi capelli che ti copriranno in parte il viso; inoltre darai alla tua voce un tono suadente, amoroso, pacato.
Porta sulle spalle un sacco con oggetti preziosi: oro, argento, diamanti.
Avvicinati al lago con passo tranquillo, sì da ispirare fiducia e quando sarai
arrivato all’acqua, mormora tra te e te “ eccolo il famoso tessuto con cui si cesellano i gioielli dell’aria, i più belli del mondo...”; così dicendo taglierai un pezzetto di arcobaleno e fingendo di metterlo nel tuo sacco in verità farai uscire da quest’ultimo i meravigliosi ornamenti che contiene.
Ondina ti si avvicinerà, perché è pur sempre una donna e i gioielli la attireranno inesorabilmente.
Allora tu le spiegherai che son fatti appunto con la stoffa di quell’enorme arco colorato, che tu stesso ne sei il creatore e che principesse e regine di tutto il mondo se ne adornano.
Poi la inviterai a casa tua , per poterne ammirare alcuni assai più belli di quelli che lei di sicuro ormai starà già accarezzando.
Ti seguirà e tu potrai tenerla prigioniera per sempre-
Il Mago si convinse che il piano era buono; così il giorno stesso salì sul Latemàr
e vi creò un magnifico arcobaleno, che inarcò al di sopra dei boschi fin laggiù, al lago di Carezza.
Ondina si accorse subito di quella meraviglia, che irradiava riflessi splendenti fino al suo palazzo; uscì fuori e come lo stregone vide emergere dalle acque quel corpo splendido che piano piano gli si rivelava in tutta la sua divina perfezione...perse ogni prudenza; si mise a correre a perdifiato verso l’arcobaleno e verso l’oggetto del suo desiderio, dimenticando barba e capelli candidi da innocuo mercante, nonché il sacco appropriato della mercanzia...
La Ninfa lo riconobbe immediatamente e con una risata e un balzo, tornata sirena, fu al sicuro in fondo al lago, nella sua casa di marmi e madreperla.
Il povero Mago fu colto allora da un’ira tremenda: cominciò a sradicar alberi, a sollevar pietre e macigni che gettava nel lago.
Alla fine afferrò anche l’arcobaleno, la sua creatura –trappola: lo distrusse in mille pezzi e gettò anche quelli nelle acque di Carezza.
Poi ritornò al suo cupo castello tra le rocce e scomparve per sempre.
Intanto i frammenti di arcobaleno si andavano sciogliendo nel lago, donando alle sue acque tutti i colori dell’iride per sempre.
Ondina riuscì a tenerne per sè qualcuno: così per gioco a volte, ancora oggi, li sbriciola, sceglie un colore particolare e si diverte a colorar di polvere rosa le cime dei monti circostanti...
Il Lago di Carezza, incastonato nella fitta foresta ai piedi del Latemàr, nelle Dolomiti, è noto per il gioco di colori delle sue acque cangianti durante la giornata, dal verde/blu, al rossastro, dall’oro fino al grigio cupo dei temporali: per questo motivo nella lingua ladina viene chiamato anche "Lec de Ergobando" (o "arcoboàn"), cioè "Lago dell'arcobaleno", un nome che gli si addice perfettamente.
Infatti, mentre gli altri laghi montani rispecchiano acque azzurre o verdi, quello di Carezza ha in sé tutti i colori dell’iride.
L’origine di tanta peculiare bellezza potrebbe trovarsi in questa antica leggenda alpina.
Molto, molto tempo fa, quando le fate e le ninfe popolavano ancora i boschi e le acque e, seppur raramente, era dato anche agli umani vederle, nelle profondità del lago di Carezza, in un magnifico palazzo tutto di madreperla e di marmo, abitava appunto una ninfa, Ondina.
Era una donna giovanissima di straordinaria bellezza: aveva i capelli neri e folti che contrastavano con gli occhi azzurri del color della pervinca nel cui sguardo un umano avrebbe potuto perdersi.
La carne del suo corpo bianca e compatta, liscia come seta incantava anche gli dei, la stessa stirpe da cui la ninfa proveniva. Ondina era solita, nelle notti di luna piena, raggiungere le rive del lago per cantare alla stregua di un usignolo, tanto che tutti gli animali che abitavano la fitta foresta di conifere che si può ammirare ancor oggi
attorno allo specchio d’acqua si radunavano intorno a lei e in silenzio si beavano del suo canto.
All’alba la fanciulla con un tuffo tornava nel suo palazzo lacustre, le splendide gambe mutate in coda di pesce: diventava in tutto e per tutto una sirena.
Qualche volta usciva anche di giorno, al sole di mezzogiorno.
Le piaceva lasciarsi accarezzare dai raggi, distesa sulle rocce della riva.
Si racconta che i pochi uomini che ebbero la fortuna di vederla abbiano terminato la loro vita in preda alla pazzia dopo aver cercato lei in ogni donna che incontravano.
Vicino al lago, nelle foreste che salgono fino alle cime del Latemàr, abitava un grande Mago: la sua era una magia cattiva, distruttiva e il suo potere grande.
Una notte, mentre creava nuove e oscure magie nella torre più alta del suo castello tra le rocce, udì un canto da cui fu irresistibilmente attratto; il vecchio, orrendo a vedersi, brutto di malvagità, per la prima volta in vita sua si sentì quasi umano: pareva che le pietre del suo cuore si stessero sgretolando al suono di quella melodia.
E volle sapere a chi apparteneva la voce incantata.
Così furtivamente si avvicinò al lago e quando vide la splendida donna che coperta solo dei suoi capelli cantava alla luna... seppe che doveva averla, in ogni modo.
Uscì allo scoperto, per avvicinarsi a lei, toccarla....
Ma come Ondina vide quel vecchio orrendo dalle mani adunche che si avvicinava- seppe subito chi era, riconobbe il Male, lei che era di natura divina- con un balzo scomparve nelle acque, lasciando al Mago solo il ricordo della sua bellissima immagine.
Da quel giorno lui provò in tutti i modi a catturare la Ninfa: usò i trucchi del travestimento, ma lei lo batteva in velocità, agilità e infine l’acqua era il suo elemento mentre il palazzo dove si rifugiava nelle profondità lacustri la proteggeva dal potente Stregone, il quale, vedendo fallire ogni tentativo di catturar la preda,
veniva preso sempre più spesso da crisi di rabbia paurose; allora scatenava sul Latemàr furiosi temporali e scagliava nel lago fulmini apocalittici: ma Ondina, al sicuro nel suo palazzo di marmo e madreperla, rideva di lui, e la sua risata, tra il frastuono degli elementi, arrivava al Mago, nel cupo castello tra le rocce, portandolo alla disperazione.
Così, un giorno, a malincuore, si decise a salire sul Vajolòn per consultare una “Stria del Masaré”, che abitava lassù in una caverna: era costei una creatura malefica quanto lui ma infinitamente più astuta.
La vecchia megera, dopo averlo ascoltato, si mise a ridere e disse, con voce chioccia di scherno:
- Ma guarda il grande Mago che si fa prender in giro da una piccola Ninfa, perché la vista di una bella femmina gli ha distrutto il cervello, tanto da non saper neppur più di quali magie è capace... da non crederci.
E ora ha bisogno di me...
Mi ricambierai questo favore un giorno.
Allora ascolta:
Ondina , la tua bella, non ha mai visto un arcobaleno.
Tu creane uno, sempre se ti ricordi come si fa, che abbia un capo sulle vette del Latemàr e l’altro sulla riva del lago.
Bada di farlo con i colori più splendenti che la tua magia può inventare, deve brillare più del sole.
Ondina non potrà fare a meno di uscire per veder una simile meraviglia, per lei sconosciuta.
Intanto tu ti travestirai da mercante, con folta barba bianca e lunghi capelli che ti copriranno in parte il viso; inoltre darai alla tua voce un tono suadente, amoroso, pacato.
Porta sulle spalle un sacco con oggetti preziosi: oro, argento, diamanti.
Avvicinati al lago con passo tranquillo, sì da ispirare fiducia e quando sarai
arrivato all’acqua, mormora tra te e te “ eccolo il famoso tessuto con cui si cesellano i gioielli dell’aria, i più belli del mondo...”; così dicendo taglierai un pezzetto di arcobaleno e fingendo di metterlo nel tuo sacco in verità farai uscire da quest’ultimo i meravigliosi ornamenti che contiene.
Ondina ti si avvicinerà, perché è pur sempre una donna e i gioielli la attireranno inesorabilmente.
Allora tu le spiegherai che son fatti appunto con la stoffa di quell’enorme arco colorato, che tu stesso ne sei il creatore e che principesse e regine di tutto il mondo se ne adornano.
Poi la inviterai a casa tua , per poterne ammirare alcuni assai più belli di quelli che lei di sicuro ormai starà già accarezzando.
Ti seguirà e tu potrai tenerla prigioniera per sempre-
Il Mago si convinse che il piano era buono; così il giorno stesso salì sul Latemàr
e vi creò un magnifico arcobaleno, che inarcò al di sopra dei boschi fin laggiù, al lago di Carezza.
Ondina si accorse subito di quella meraviglia, che irradiava riflessi splendenti fino al suo palazzo; uscì fuori e come lo stregone vide emergere dalle acque quel corpo splendido che piano piano gli si rivelava in tutta la sua divina perfezione...perse ogni prudenza; si mise a correre a perdifiato verso l’arcobaleno e verso l’oggetto del suo desiderio, dimenticando barba e capelli candidi da innocuo mercante, nonché il sacco appropriato della mercanzia...
La Ninfa lo riconobbe immediatamente e con una risata e un balzo, tornata sirena, fu al sicuro in fondo al lago, nella sua casa di marmi e madreperla.
Il povero Mago fu colto allora da un’ira tremenda: cominciò a sradicar alberi, a sollevar pietre e macigni che gettava nel lago.
Alla fine afferrò anche l’arcobaleno, la sua creatura –trappola: lo distrusse in mille pezzi e gettò anche quelli nelle acque di Carezza.
Poi ritornò al suo cupo castello tra le rocce e scomparve per sempre.
Intanto i frammenti di arcobaleno si andavano sciogliendo nel lago, donando alle sue acque tutti i colori dell’iride per sempre.
Ondina riuscì a tenerne per sè qualcuno: così per gioco a volte, ancora oggi, li sbriciola, sceglie un colore particolare e si diverte a colorar di polvere rosa le cime dei monti circostanti...
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