J. S. Foer

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14 Anni 7 Mesi fa #6260 da LaDea
J. S. Foer è stato creato da LaDea
Abitudini carnivore e allevamenti intensivi come pratiche criminali, di J. S. Foer
La pratica carnivora non comporta solo, tecnicamente parlando, stermini di massa, indiscriminati e dissennati, ma anche distruzioni ambientali estesissime.



Le condizioni, in cui vivono gli animali negli allevamenti intensivi, che oramai rappresentano la quasi totalità degli allevamenti, non solo negli Usa, cui si riferisce il diario-inchiesta di Foer, ma anche in Europa, sembrano dare ragione a coloro che credono che la religione cristiana non abbia mai palesato una grande pietas nei confronti delle specie non umane. Solo chi crede, infatti, che queste siano del tutto strumentali alla soddisfazione umana e non abbiano alcuna dignità autonoma, può continuare a cibarsi di carne, soprattutto se consapevole di cosa accade agli animali e ai loro prodotti prima che essi finiscano nei nostri stomaci.

Con grande, e nauseante, efficacia, Foer osserva ad esempio che <<una gabbia per galline ovaiole concede in genere a ogni animale una superficie all’incirca di quattro decimetri quadrati: uno spazio grande poco meno di un foglio A4. Le gabbie sono accatastate in pile da tre a nove in capannoni privi di finestre. Entra mentalmente in un ascensore affollato, un ascensore così affollato che non riesci a girarti senza sbattere (esasperandolo) contro il tuo vicino. Un ascensore così affollato che spesso rimani sollevato a mezz’aria. Il che è una specie di benedizione, perché il pavimento inclinato è fatto di fil di ferro che ti sega i piedi. Dopo un po’ quelli che stanno nell’ascensore perderanno la capacità di lavorare nell’interesse del gruppo. Alcuni diventeranno violenti, altri impazziranno. Qualcuno, privato di cibo e speranza, si volgerà al cannibalismo. Non c’è tregua, non c’è sollievo. Non arriverà nessun addetto a riparare l’ascensore. Le porte si apriranno una sola volta, al termine della tua vita, per portarti nell’unico posto peggiore>>, vale a dire quello della lavorazione, dell’abbattimento e della macellazione, in cui i polli, vivi, verranno appesi a testa in giù su una catena di montaggio, immersi in una vasca d’acqua elettrificata per essere storditi, poi dissanguati lentamente con il taglio della gola, infine immersi nelle vasche di scottatura, zeppe di feci prodotte dal terrore. Un po’ meglio va ai polli da carne che possono arrivare a godere di uno spazio di ben nove decimetri quadrati. Altra sorte, non sapremmo dire se peggiore o migliore, tocca ai pulcini maschi delle galline ovaiole, destinati dalla natura a non poter deporre uova e dall’uomo a non essere divorati. Essi finiscono infatti carbonizzati su piastre elettrificate o triturati vivi in appositi truciolatori.

Per fortuna che c’è l’allevamento a terra, potremmo replicare, destinato a lenire in parte questo carico di sofferenze. In verità, dice Foer, perlomeno negli Usa, questa locuzione è una vera, puro illusionismo verbale per gonzi; può infatti fregiarsi di tale denominazione anche un un capannone stipato di polli, non in gabbia, ma uno sopra l’altro, con una porticina all’estremità, spesso chiusa, che dà su un fazzoletto di terra di due metri per due.

Va bene, si potrà infine obiettare, gli uomini hanno però sviluppato capacità intellettuali che gli altri animali non posseggono, capacità che li rendono superiori e quindi legittimati a sopprimere questi ultimi. Foer risponde come oggi la comunità scientifica individui diversi tipi di intelligenza; visivo-spaziale, emotiva, relazionale, ecc. e come di alcune di queste siano dotati anche gli animali.

Lo scrittore sudafricano John M. Coetzee, aggiungiamo noi, nella Vita degli animali (2000) fa dire alla protagonista, Elizabeth Costello, a proposito della crudeltà con cui l’uomo tratta gli animali, che oramai siamo circondati da un’impresa di degradazione tale che può ben rivaleggiare con ciò di cui fu capace il Terzo Reich. Nella sezione, nello stesso volume, dedicata alle Riflessioni, Peter Singer, professore di Bioetica, dopo aver precisato che la differenza essenziale è che gli esseri umani hanno capacità che superano di molto quelle degli animali non umani, e che alcune di queste capacità sono moralmente importanti in determinati contesti, si sente obiettare dalla figlia: <<non è specismo anche questo? Non stai dicendo che queste caratteristiche - avere coscienza di se, fare piani per il futuro, eccetera - sono proprie degli esseri umani, e quindi valgono più di quelle che hanno gli animali?>>.

D’altronde, ci chiediamo, se fossero le capacità intellettuali tipicamente umane a conferire il diritto a non essere soppressi a fini alimentari, nessuna obiezione morale si potrebbe muovere alla trasformazione dei corpi delle persone in coma irreversibile o dei ritardati mentali gravissimi in teneri hamburger, dato che questi quelle capacità intellettuali hanno perso o possiedono in forma minore rispetto a gran parte delle specie animali.

La ragione, allora, per cui l’uomo rifiuta, in genere, il cannibalismo non è di ordine morale anche se di ciò si ammanta, ma risiede nel naturale istinto alla conservazione della specie.

Il carnivoro, inoltre, non è chiamato a scegliere tra la propria vita e quella di un essere appartenente a un’altra specie. Se si privasse della carne, infatti, non sarebbe condannato a morte certa. Più semplicemente reputa che la vita di un’animale abbia meno valore del soddisfacimento del proprio gusto, della gratificazione delle proprie papille gustative. Pensateci bene; oggi in Italia, ma non solo qui da noi, se do un calcio a un cane, per noia o perché mi ha urinato sul cerchione della macchina, commetto un reato; se invece mi spolpo la coscia di un pollo, ben sapendo attraverso quali inferni e torture quel pollo è stato costretto a passare per colpa mia, non sono considerato meritevole neanche di uno scappellotto di riprovazione.

La pratica carnivora, peraltro, non comporta solo, tecnicamente parlando, stermini di massa, indiscriminati e dissennati (per ogni chilo di gamberetti pescati a strascico in Indonesia sono <<uccisi e ributtati in mare 24 kg di altri animali marini>> (p. 58)), ma anche distruzioni ambientali estesissime. La Fao indica nell’industria della carne una tra le maggiori attività umane che peggiorano la qualità dell’ambiente per il degrado del suolo, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e la perdita di biodiversità che essa comporta. Basti dire che l’allevamento è responsabile del 18% delle emissioni mondiali di gas serra (p. 67), circa il 40% in più dell’intero settore dei trasporti (auto, camion, aerei, navi e treni).

Da ultimo, anche coloro che ritengono che immorale sia solo uccidere un individuo appartenente alla propria specie, dovrebbero convincersi della natura criminale della pratica carnivora. Se, infatti, come ricordato dall’Onu, la trasformazione di cento milioni di tonnellate di cereali e mais in etanolo è un, quale nuova definizione di crimine dovremmo coniare mai per indicare quello commesso dall’industria zootecnica che destina annualmente 756 milioni di tonnellate di cereali e mais, sufficienti a sfamare un miliardo e mezzo di persone, al macello.
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