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Le più antiche e dolci leggende sui fiori
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4385
da perla84
Le più antiche e dolci leggende sui fiori è stato creato da perla84
Da sempre i fiori sono considerati quali oggetti ideali per un regalo, per esprimere un pensiero o uno stato d’animo. Lo sposo dona fiori alla sua amata. Le giovani sposine tengono stretto tra le mani il loro bouquet, scelto con cura. Un bocciolo vuol dire tante cose, tanto che esiste un vero e proprio “linguaggio dei fiori”, com’è noto. Ma non tutti sanno che esistono diverse leggende sui fiori, sulla loro nascita, sul colore che li contraddistingue. Leggende che parlano d’amore, di matrimonio, di gioia e tanto tanto altro. Eccone alcune.
Perché i gelsomini si regalano alle spose in segno di buon augurio
Una leggenda narra che i Gelsomini fossero una pianta di esclusiva proprietà della Famiglia dei Medici e venivano coltivati soltanto nei loro giardini. Un giovane giardiniere rubò una pianta e la regalò alla sua fidanzata, che la mise in terra e la accudì con tanto amore che essa crebbe e fece tanti fiori meravigliosi. I due fidanzati si sposarono e vissero felicemente, diffusero la coltivazione del fiore e l’usanza di regalarlo alle giovani spose come segno di buon augurio.
La storia della “Pratolina”
In primavera i prati si coprono spontaneamente di migliaia di margheritine. Forse non tutti sanno che tale fiore, detto anche “Pratolina” e così comune alle nostre latitudini, ha una storia molto antica. Il suo nome scientifico e’ “Bellis” e deriva da una leggenda. Bellis era la figlia del dio Belus. Un giorno, mentre danzava con il suo fidanzato, attirò l’attenzione del dio della primavera a causa della sua bellezza. Il dio tentò di strapparla al fidanzato, quest’ultimo reagì con violenza e la poveretta, per salvarsi da entrambi si trasformò in una margheritina.
La Pratolina fu molto amata nei tempi antichi. Quando Margherita di Valois, sorella di Francesco I sposò Emanuele di Savoia, fu presentata a corte con un cesto di margherite. Luigi IX di Francia amava tanto questo fiore e si era fatto fare un anello a forma di margherita. Margherita d’Angiò, moglie di Enrico VI d’Inghilterra, era solita far ricamare margheritine sulle vesti dei cortigiani: aperte indicavano la vita, chiuse, la purezza.
In inglese la Margherita si chiama “Daisy” e deriva dall’espressione “Day’s eye”, occhio del giorno.
La nascita della Stella Alpina
Secondo una leggenda svizzera questo fiore sarebbe stato un tempo una fanciulla così bella, pura e nobile di animo che, sebbene desiderata da molti cavalieri, non incontrò mai nessuno degno di diventare suo sposo. Quando morì, ancora non sposata, fu trasportata sulle vette più eccelse delle montagne e trasformata in un fiore che fu chiamato Edelweiss (che significa nobile bianco) e che nasce in luoghi inavvicinabili per gli esseri umani. Poiché dunque per raccogliere questo fiore occorre fatica e coraggio, la frase "cogliere Edelweiss” divenne, per gli Svizzeri, sinonimo dell’ottenimento del più alto e nobile onore che un uomo mortale possa conquistare.
Perché le Rose Gialle sono simbolo di infedeltà e gelosia
L’origine del significato è nella storia del profeta Maometto e della sua favorita Aisha. Poiché egli sospettava che gli fosse infedele chiese all’Arcangelo Gabriele di aiutarlo a scoprire la verità. L’Angelo gli disse di bagnare le rose e, se avessero cambiato colore i suoi dubbi sarebbero stati fondati. Infatti quando Maometto tornò a casa Aisha gli offrì delle rose rosse e lui le ordinò di lasciarle cadere nel fiume. Le rose divennero gialle.
Come nacquero le Rose Rosse
In origine le rose erano tutte bianche. Un giorno Venere, correndo incontro ad uno dei suoi innamorati, mise un piede su un cespuglio di rose e le spine la punsero facendola strillare dal dolore. Le rose, bagnate dal suo sangue, vergognandosi per l’offesa recata a Venere, arrossirono all’istante rimanendo così per sempre.
L’origine del Narciso
La mitologia greca ci tramanda che Narciso era un giovane bellissimo e duro di cuore. Una ninfa, indispettita per essere stata respinta, decise di vendicarsi. Lo portò a specchiarsi in un lago, ed egli, vedendosi riflesso sull’acqua si innamorò perdutamente della sua immagine convinto che fosse quella di una ninfa bellissima. Quando l’acqua del lago si increspò, l’immagine di Narciso scomparve ed egli, convinto di aver perso la sua amata si gettò nel lago disperato e annegò. Cupido trasformò il giovane in un fiore che chiamò Narciso, affinché tutti ricordassero le disgrazie cui porta la vanità e l’egoismo.
Perché i gelsomini si regalano alle spose in segno di buon augurio
Una leggenda narra che i Gelsomini fossero una pianta di esclusiva proprietà della Famiglia dei Medici e venivano coltivati soltanto nei loro giardini. Un giovane giardiniere rubò una pianta e la regalò alla sua fidanzata, che la mise in terra e la accudì con tanto amore che essa crebbe e fece tanti fiori meravigliosi. I due fidanzati si sposarono e vissero felicemente, diffusero la coltivazione del fiore e l’usanza di regalarlo alle giovani spose come segno di buon augurio.
La storia della “Pratolina”
In primavera i prati si coprono spontaneamente di migliaia di margheritine. Forse non tutti sanno che tale fiore, detto anche “Pratolina” e così comune alle nostre latitudini, ha una storia molto antica. Il suo nome scientifico e’ “Bellis” e deriva da una leggenda. Bellis era la figlia del dio Belus. Un giorno, mentre danzava con il suo fidanzato, attirò l’attenzione del dio della primavera a causa della sua bellezza. Il dio tentò di strapparla al fidanzato, quest’ultimo reagì con violenza e la poveretta, per salvarsi da entrambi si trasformò in una margheritina.
La Pratolina fu molto amata nei tempi antichi. Quando Margherita di Valois, sorella di Francesco I sposò Emanuele di Savoia, fu presentata a corte con un cesto di margherite. Luigi IX di Francia amava tanto questo fiore e si era fatto fare un anello a forma di margherita. Margherita d’Angiò, moglie di Enrico VI d’Inghilterra, era solita far ricamare margheritine sulle vesti dei cortigiani: aperte indicavano la vita, chiuse, la purezza.
In inglese la Margherita si chiama “Daisy” e deriva dall’espressione “Day’s eye”, occhio del giorno.
La nascita della Stella Alpina
Secondo una leggenda svizzera questo fiore sarebbe stato un tempo una fanciulla così bella, pura e nobile di animo che, sebbene desiderata da molti cavalieri, non incontrò mai nessuno degno di diventare suo sposo. Quando morì, ancora non sposata, fu trasportata sulle vette più eccelse delle montagne e trasformata in un fiore che fu chiamato Edelweiss (che significa nobile bianco) e che nasce in luoghi inavvicinabili per gli esseri umani. Poiché dunque per raccogliere questo fiore occorre fatica e coraggio, la frase "cogliere Edelweiss” divenne, per gli Svizzeri, sinonimo dell’ottenimento del più alto e nobile onore che un uomo mortale possa conquistare.
Perché le Rose Gialle sono simbolo di infedeltà e gelosia
L’origine del significato è nella storia del profeta Maometto e della sua favorita Aisha. Poiché egli sospettava che gli fosse infedele chiese all’Arcangelo Gabriele di aiutarlo a scoprire la verità. L’Angelo gli disse di bagnare le rose e, se avessero cambiato colore i suoi dubbi sarebbero stati fondati. Infatti quando Maometto tornò a casa Aisha gli offrì delle rose rosse e lui le ordinò di lasciarle cadere nel fiume. Le rose divennero gialle.
Come nacquero le Rose Rosse
In origine le rose erano tutte bianche. Un giorno Venere, correndo incontro ad uno dei suoi innamorati, mise un piede su un cespuglio di rose e le spine la punsero facendola strillare dal dolore. Le rose, bagnate dal suo sangue, vergognandosi per l’offesa recata a Venere, arrossirono all’istante rimanendo così per sempre.
L’origine del Narciso
La mitologia greca ci tramanda che Narciso era un giovane bellissimo e duro di cuore. Una ninfa, indispettita per essere stata respinta, decise di vendicarsi. Lo portò a specchiarsi in un lago, ed egli, vedendosi riflesso sull’acqua si innamorò perdutamente della sua immagine convinto che fosse quella di una ninfa bellissima. Quando l’acqua del lago si increspò, l’immagine di Narciso scomparve ed egli, convinto di aver perso la sua amata si gettò nel lago disperato e annegò. Cupido trasformò il giovane in un fiore che chiamò Narciso, affinché tutti ricordassero le disgrazie cui porta la vanità e l’egoismo.
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Ultima Modifica 14 Anni 10 Mesi fa da perla84.
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4386
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
APRILE, il mese del Tulipano.
Si ritiene che il tulipano sia stato introdotto in Europa dalla Persia, ed in effetti ancor oggi in Iran gli innamorati si scambiano tulipani come simbolo d'amore.
Giunti comunque in Europa, i tulipani divennero di moda, grazie alle donne francesi che per prime li apprezzarono. La moda dilagò poi dalla Francia all'Olanda, dove si selezionarono nuove varietà ed i tulipani divennero oggetto di coltivazione intensiva; i bulbi venivano contrattati con accanimento dai ricchi mercanti olandesi, e le più rilevanti di tali contrattazioni all'inizio si svolgevano nel palazzo del mercante Van der Burse, palazzo che si trasformò nella sede non soltanto del commercio dei tulipani, ma anche di altri prodotti. Derivò così dal nome di quel mercante la parola Borsa, che ancora oggi indica il luogo delle contrattazioni di titoli azionari e di monete.
Io però conosco una storia diversa, che attribuisce la spettacolare fioritura dei tulipani ad una delicata leggenda.
In un tempo ormai lontano, viveva in Olanda un contadino che traeva dalla terra i prodotti necessari al suo sostentamento. Egli conosceva soltanto le nozioni indispensabili alla propria sopravvivenza. Conosceva quindi il ritmo delle stagioni, e quando seminare e quando raccogliere, le erbe buone per nutrire le bestie da lui accudite, e le erbe cattive che le avrebbero avvelenate. Altro non sapeva: ignorava dunque l'esistenza delle grandi città che cominciavano a sorgere non molto lontano da lui, il concetto e l'utilità del denaro, i miracoli della sapienza degli uomini.
Accadeva che, spinto dall'ansia di un'attesa senza scopo, si soffermasse talora ad osservare la lunga fuga dei campi verdi, di un verde monotono, sempre uguale, interrotto soltanto dagli ordinati canali di irrigazione che riflettevano il cielo. E il suo sguardo si spingeva fino all'orizzonte che dove lui viveva sembrava ancora più lontano di quanto non sia solitamente l'orizzonte, perché la sua terra piatta non era in alcun modo interrotta dalle linee ondulate dei monti.
Poiché era giovane, talvolta un comando impellente correva nelle sue vene, ma egli ne ignorava il significato, perché da quando si ricordava, era sempre stato solo, e così pensava - se pure pensava un futuro che non fosse l'immediato accadere dopo il presente - che sempre sarebbe stato.
Accadde tuttavia che un giorno, saltando senza motivo, in un impeto di felicità, un canale che scorreva quieto fra i verdi prati silenziosi che erano l'unico mondo da lui conosciuto, piombò in un mondo di bellezza che gli era ignoto: egli vide, spuntati tra l'erba sottile, fiori stupendi dai mille colori, aperti come ninfee, e sospesi su essi creature di luce, vestite di veli anch'essi dai mille colori, e con grandi ali leggere scintillanti d'argento, di quello scintillio che egli aveva scorto, nelle notti di luna piena, capovolto nei mille canali che attraversavano la sua placida terra.
Erano innumerevoli,quelle creature, e ciascuna aveva in mano uno strumento fatto di luce, che suonava insieme alle altre, in armonia di suoni. Una sola tra tutte non possedeva alcuno strumento. Era la più bella di quegli esseri lucenti e muoveva piano le sue leggere ali di farfalla, e rideva felice, danzando la musica evocata dalle compagne, musica che il giovane era certo non fosse umana, anche se di umano non aveva mai udita altro suono che quello del vento che spazzava le grandi pianure che erano tutto il suo mondo.
In quella bella creatura sorridente il giovane contadino concentrò alfine il comando imperioso che correva talvolta nelle sue vene, la somma di tutte le cose che sapeva esistere anche se gli erano sconosciute, l'ansia di bellezza che troppe volte lo aveva divorato quando osservava il mare fondersi nel cielo, all'orizzonte.
E l'amò, senza nemmeno sapere che era amore, d'un subito, profondamente e inutilmente, con la disperazione di chi intuisce di amare l'irraggiungibile.
La creatura fatata non conosceva purtroppo l'amore, poiché quello è un dono riservato agli uomini, ed anche loro solo raramente riescono a possederlo, ed ancor più raramente a condividerlo: la creatura era bella, buona e gentile, ma non poteva comprendere l'ansia che divorava il giovane umano.
Lui, a sua volta, che vedeva la bellezza e la bontà di lei, che si struggeva per la malia evocata dalla sua danza e dalla musica e dai canti delle fate compagne, si lasciò consumare dal desiderio di tutto questo fino a morirne, addormentandosi quieto, in un giorno d'aprile, al suono di quella musica, sull'argine del canale che un destino imperscrutabile, un giorno, gli aveva ordinato di attraversare.
La regina delle fate, sfiorata forse per la prima ed unica volta in quella sua vita diversa da un senso di umana pietà, pur non comprendendo il motivo di quella morte, intuì confusamente di esserne la causa innocente, e volle che le terre che il giovane aveva amato in vita, fossero da allora, nel mese aprile, coperte dai fiori che servivano da casa alle fate. E' da allora che ogni anno, nel mese di aprile, i tulipani fioriscono tutti insieme, a migliaia, coloratissimi, nella terra d'Olanda.
Mi hanno raccontato che chiunque abbia visto questa miracolosa fioritura, non fatichi a credere in questa storia che ne racconta l'origine fatata.
Si ritiene che il tulipano sia stato introdotto in Europa dalla Persia, ed in effetti ancor oggi in Iran gli innamorati si scambiano tulipani come simbolo d'amore.
Giunti comunque in Europa, i tulipani divennero di moda, grazie alle donne francesi che per prime li apprezzarono. La moda dilagò poi dalla Francia all'Olanda, dove si selezionarono nuove varietà ed i tulipani divennero oggetto di coltivazione intensiva; i bulbi venivano contrattati con accanimento dai ricchi mercanti olandesi, e le più rilevanti di tali contrattazioni all'inizio si svolgevano nel palazzo del mercante Van der Burse, palazzo che si trasformò nella sede non soltanto del commercio dei tulipani, ma anche di altri prodotti. Derivò così dal nome di quel mercante la parola Borsa, che ancora oggi indica il luogo delle contrattazioni di titoli azionari e di monete.
Io però conosco una storia diversa, che attribuisce la spettacolare fioritura dei tulipani ad una delicata leggenda.
In un tempo ormai lontano, viveva in Olanda un contadino che traeva dalla terra i prodotti necessari al suo sostentamento. Egli conosceva soltanto le nozioni indispensabili alla propria sopravvivenza. Conosceva quindi il ritmo delle stagioni, e quando seminare e quando raccogliere, le erbe buone per nutrire le bestie da lui accudite, e le erbe cattive che le avrebbero avvelenate. Altro non sapeva: ignorava dunque l'esistenza delle grandi città che cominciavano a sorgere non molto lontano da lui, il concetto e l'utilità del denaro, i miracoli della sapienza degli uomini.
Accadeva che, spinto dall'ansia di un'attesa senza scopo, si soffermasse talora ad osservare la lunga fuga dei campi verdi, di un verde monotono, sempre uguale, interrotto soltanto dagli ordinati canali di irrigazione che riflettevano il cielo. E il suo sguardo si spingeva fino all'orizzonte che dove lui viveva sembrava ancora più lontano di quanto non sia solitamente l'orizzonte, perché la sua terra piatta non era in alcun modo interrotta dalle linee ondulate dei monti.
Poiché era giovane, talvolta un comando impellente correva nelle sue vene, ma egli ne ignorava il significato, perché da quando si ricordava, era sempre stato solo, e così pensava - se pure pensava un futuro che non fosse l'immediato accadere dopo il presente - che sempre sarebbe stato.
Accadde tuttavia che un giorno, saltando senza motivo, in un impeto di felicità, un canale che scorreva quieto fra i verdi prati silenziosi che erano l'unico mondo da lui conosciuto, piombò in un mondo di bellezza che gli era ignoto: egli vide, spuntati tra l'erba sottile, fiori stupendi dai mille colori, aperti come ninfee, e sospesi su essi creature di luce, vestite di veli anch'essi dai mille colori, e con grandi ali leggere scintillanti d'argento, di quello scintillio che egli aveva scorto, nelle notti di luna piena, capovolto nei mille canali che attraversavano la sua placida terra.
Erano innumerevoli,quelle creature, e ciascuna aveva in mano uno strumento fatto di luce, che suonava insieme alle altre, in armonia di suoni. Una sola tra tutte non possedeva alcuno strumento. Era la più bella di quegli esseri lucenti e muoveva piano le sue leggere ali di farfalla, e rideva felice, danzando la musica evocata dalle compagne, musica che il giovane era certo non fosse umana, anche se di umano non aveva mai udita altro suono che quello del vento che spazzava le grandi pianure che erano tutto il suo mondo.
In quella bella creatura sorridente il giovane contadino concentrò alfine il comando imperioso che correva talvolta nelle sue vene, la somma di tutte le cose che sapeva esistere anche se gli erano sconosciute, l'ansia di bellezza che troppe volte lo aveva divorato quando osservava il mare fondersi nel cielo, all'orizzonte.
E l'amò, senza nemmeno sapere che era amore, d'un subito, profondamente e inutilmente, con la disperazione di chi intuisce di amare l'irraggiungibile.
La creatura fatata non conosceva purtroppo l'amore, poiché quello è un dono riservato agli uomini, ed anche loro solo raramente riescono a possederlo, ed ancor più raramente a condividerlo: la creatura era bella, buona e gentile, ma non poteva comprendere l'ansia che divorava il giovane umano.
Lui, a sua volta, che vedeva la bellezza e la bontà di lei, che si struggeva per la malia evocata dalla sua danza e dalla musica e dai canti delle fate compagne, si lasciò consumare dal desiderio di tutto questo fino a morirne, addormentandosi quieto, in un giorno d'aprile, al suono di quella musica, sull'argine del canale che un destino imperscrutabile, un giorno, gli aveva ordinato di attraversare.
La regina delle fate, sfiorata forse per la prima ed unica volta in quella sua vita diversa da un senso di umana pietà, pur non comprendendo il motivo di quella morte, intuì confusamente di esserne la causa innocente, e volle che le terre che il giovane aveva amato in vita, fossero da allora, nel mese aprile, coperte dai fiori che servivano da casa alle fate. E' da allora che ogni anno, nel mese di aprile, i tulipani fioriscono tutti insieme, a migliaia, coloratissimi, nella terra d'Olanda.
Mi hanno raccontato che chiunque abbia visto questa miracolosa fioritura, non fatichi a credere in questa storia che ne racconta l'origine fatata.
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da perla84
Risposta da perla84 al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
Profumo di vaniglia
(Vittoria Cristina Bertolini)
L'intrigante bellezza delle orchidee era già conosciuta e apprezzata nell'antica Grecia. Una leggenda narra che ad un giovane dal nome Orchide erano spuntati, all'inizio dell'adolescenza, due seni opulenti. Man mano che cresceva, il suo corpo diventava sinuoso e morbido. Al contempo, però, presentava caratteristiche sia maschili che femminili.
Orchide soffriva molto questa sua ambiguità. Il conflitto che lo tormentava si rifletteva anche nel suo carattere, a volte timido e schivo, altre aggressivo e lussurioso come quello del dio Pan. Un giorno, disperato, si gettò da una rupe sfracellandosi su un prato, dove dal suo sangue spuntarono tanti fiori diversi l'uno dall'altro, ma simili nella loro sensualità. Per tale motivo gli efebi ateniesi cantavano lodi agli dei con la fronte incoronata di orchidee.
L'uomo moderno ha perso un po' il contatto con la natura che lo circonda, per cui è ovvio che le orchidee più conosciute siano quelle che ritroviamo dai fiorai, tutte provenienti da zone del pianeta con clima caldo umido.
Eppure, anche se poco appariscenti, esistono orchidee spontanee in tutta Europa. Solo in Italia sono state calcolate circa 150 specie, raggruppate in 31 generi. Gli studiosi ritengono che il numero delle specie di orchidee del pianeta si aggiri intorno a 25.000.
La vaniglia (Vanillia planifolia) appartiene ad un gruppo di orchidee originarie delle Indie Occidentali. Il suo frutto (un bastoncino bruno molto profumato) ha assunto un ruolo importante per molte popolazioni delle aree tropicali, perchŽ viene venduto per aromatizzare dolci e gelati. La vaniglia è una pianta lianosa, dotata di radici avventizie, ha foglie carnose e un fiore che non è né profumato né appariscente, di colore giallo/verde, simile alla tonalità delle foglie.
Le orchidee italiane sono esclusivamente terrestri, al contrario delle specie tropicali, in gran maggioranza epifite. Pur non essendo molto vistose, esse possono diffondere odori particolari: ad esempio alcune specie del genere Nigritella, tipiche di un habitat montano, profumano di cioccolata; Barlia robertiana, specie strettamente mediterranea, bella da vedere e da annusare, evoca la "sensazione di pulito". Si parla di un' "orchidea odorosa" (non meglio identificata) anche nell'antichità.
Nigritella corneliana
Barlia robertiana
Le orchidee spontanee non sempre hanno odore piacevole. In Provenza, ad esempio, in primavera è relativamente facile imbattersi in esemplari di Himantoglossum hircinum che, sotto il sole, sprigionano un tremendo fetore (ircino!) avvertibile anche da notevole distanza. Le più diffuse orchidee del genere Ophrys emanano invece odori simili a feromoni di alcuni imenotteri (per il nostro olfatto, l'odore è molto simile a quello di una cimice schiacciata!) ed hanno un labello che ricorda la forma e la pelosità dell'addome della femmina. L'attrazione che queste piante esercitano sui maschi ha dell'incredibile: essi vengono attratti dal particolare labello, convesso e peloso dell'orchidea, e, una volta sopra, vi praticano una pseudocopula. Grazie ai movimenti dell'insetto pronubo le masse polliniche dell'orchidea aderiscono fortemente al capo o all'addome, e vengono poi trasportate lontano, sullo stimma di un altro fiore, effettuando, in questo modo, l'impollinazione. Le Ophrys sono così ben specializzate che l'insetto maschio, posto contemporaneamente di fronte alla femmina e all'orchidea che ne imita le sembianze, preferisce di gran lunga quest'ultima, restando inebriato dall'odore e dall'aspetto di una tale "super femmina".
Ophrys tyrrhena
Tra i diversi tipi di fiori spontanei come si può riconoscere un'orchidea? Probabilmente ne avrete viste molte, senza magari rendervene conto; ma per distinguere un'orchidea da un altro fiore, almeno all'inizio, bisogna armarsi di lente di ingrandimento, pazienza e voglia di conoscere.
I fiori delle orchidee europee sono più piccoli delle varietà commerciali. Di conseguenza, per farsi notare dagli insetti, si riuniscono in infiorescenze che ne aumentano la visibilità. Solo eccezionalmente i fiori sono isolati (Cypripedium).
Il fiore è ermafrodita con simmetria bilaterale (zigomorfo), ed è composto da tre sepali (o tepali esterni), due laterali e uno mediano; da due petali (o tepali interni); e da un labello, la parte più vistosa, destinata ad attirare gli insetti. L'aspetto del labello è una delle principali caratteristiche da analizzare per il riconoscimento di un'orchidea, in quanto si è trasformato nelle più svariate forme per richiamare gli impollinatori.
La parte posteriore del labello, per alcune specie (ad es. del genere Dactylorhyza), si prolunga in un canale a fondo cieco con funzione di nettario, detto sprone. L'apparato riproduttore è chiamato ginostemio ed è costituito da organi maschili e femminili saldati in un'unica struttura, collocata sopra il labello. Questa è una caratteristica esclusiva della famiglia delle Orchidaceae ed è quindi importantissima per la loro identificazione.
Schema del fiore
Le orchidee presentano semi piccoli e leggeri perché privi di endosperma, cioè del nutrimento necessario per germinare. Lunghi circa 0,5 mm e pesanti circa 10 microgrammi, si affidano al vento per essere trasportati lontano dalla pianta "madre". Tuttavia i semi hanno bisogno, per germinare, di una simbiosi con funghi microscopici del genere Rhizoctonia. Tra i due organismi si attua un "patto di non belligeranza" che permette la sopravvivenza di entrambi. Il successo di questa simbiosi è basato sull'equilibrio che i due organismi viventi riescono a stabilire. Questo processo è lungo e delicato, poiché dalla nascita di un nuovo individuo alla prima fioritura passano da 5 a 10 anni. Le orchidee compensano l'assenza di endosperma nel seme con un'elevatissima produzione, dato che una pianta in genere produce migliaia di semi leggerissimi, dispersi dal vento anche a notevole distanza. Nel 1862 Darwin calcolava che una pianta di Dactylorhiza avrebbe potuto produrre abbastanza semi da coprire, con la sua discendenza, tutta la superficie terrestre in sole tre generazioni (naturalmente se tutti avessero germinato e le piante fossero state vitali!).
Tutte le orchidee sono protette, ne è vietata la raccolta degli steli fiorali e dell'apparato radicale. Si tratta di entità molto delicate poiché è sufficiente un piccolo turbamento del terreno (come l'uso di diserbanti), l'incontrollata diffusione di animali che si nutrono delle radici (come gli istrici e i cinghiali) o interventi sul territorio (come costruzione di piste da sci) per distruggere completamente un florido habitat, il quale per molti anni o addirittura per sempre non ospiterà più nessun tipo di orchidea. Per quanto detto dovremo proteggere non tanto le singole specie in via di estinzione, ma soprattutto gli habitat che ancora permettono loro di vivere. Dal 1994 esiste in Italia un'associazione nata per divulgare la conoscenza delle orchidee e per la protezione delle stesse.
(Vittoria Cristina Bertolini)
L'intrigante bellezza delle orchidee era già conosciuta e apprezzata nell'antica Grecia. Una leggenda narra che ad un giovane dal nome Orchide erano spuntati, all'inizio dell'adolescenza, due seni opulenti. Man mano che cresceva, il suo corpo diventava sinuoso e morbido. Al contempo, però, presentava caratteristiche sia maschili che femminili.
Orchide soffriva molto questa sua ambiguità. Il conflitto che lo tormentava si rifletteva anche nel suo carattere, a volte timido e schivo, altre aggressivo e lussurioso come quello del dio Pan. Un giorno, disperato, si gettò da una rupe sfracellandosi su un prato, dove dal suo sangue spuntarono tanti fiori diversi l'uno dall'altro, ma simili nella loro sensualità. Per tale motivo gli efebi ateniesi cantavano lodi agli dei con la fronte incoronata di orchidee.
L'uomo moderno ha perso un po' il contatto con la natura che lo circonda, per cui è ovvio che le orchidee più conosciute siano quelle che ritroviamo dai fiorai, tutte provenienti da zone del pianeta con clima caldo umido.
Eppure, anche se poco appariscenti, esistono orchidee spontanee in tutta Europa. Solo in Italia sono state calcolate circa 150 specie, raggruppate in 31 generi. Gli studiosi ritengono che il numero delle specie di orchidee del pianeta si aggiri intorno a 25.000.
La vaniglia (Vanillia planifolia) appartiene ad un gruppo di orchidee originarie delle Indie Occidentali. Il suo frutto (un bastoncino bruno molto profumato) ha assunto un ruolo importante per molte popolazioni delle aree tropicali, perchŽ viene venduto per aromatizzare dolci e gelati. La vaniglia è una pianta lianosa, dotata di radici avventizie, ha foglie carnose e un fiore che non è né profumato né appariscente, di colore giallo/verde, simile alla tonalità delle foglie.
Le orchidee italiane sono esclusivamente terrestri, al contrario delle specie tropicali, in gran maggioranza epifite. Pur non essendo molto vistose, esse possono diffondere odori particolari: ad esempio alcune specie del genere Nigritella, tipiche di un habitat montano, profumano di cioccolata; Barlia robertiana, specie strettamente mediterranea, bella da vedere e da annusare, evoca la "sensazione di pulito". Si parla di un' "orchidea odorosa" (non meglio identificata) anche nell'antichità.
Nigritella corneliana
Barlia robertiana
Le orchidee spontanee non sempre hanno odore piacevole. In Provenza, ad esempio, in primavera è relativamente facile imbattersi in esemplari di Himantoglossum hircinum che, sotto il sole, sprigionano un tremendo fetore (ircino!) avvertibile anche da notevole distanza. Le più diffuse orchidee del genere Ophrys emanano invece odori simili a feromoni di alcuni imenotteri (per il nostro olfatto, l'odore è molto simile a quello di una cimice schiacciata!) ed hanno un labello che ricorda la forma e la pelosità dell'addome della femmina. L'attrazione che queste piante esercitano sui maschi ha dell'incredibile: essi vengono attratti dal particolare labello, convesso e peloso dell'orchidea, e, una volta sopra, vi praticano una pseudocopula. Grazie ai movimenti dell'insetto pronubo le masse polliniche dell'orchidea aderiscono fortemente al capo o all'addome, e vengono poi trasportate lontano, sullo stimma di un altro fiore, effettuando, in questo modo, l'impollinazione. Le Ophrys sono così ben specializzate che l'insetto maschio, posto contemporaneamente di fronte alla femmina e all'orchidea che ne imita le sembianze, preferisce di gran lunga quest'ultima, restando inebriato dall'odore e dall'aspetto di una tale "super femmina".
Ophrys tyrrhena
Tra i diversi tipi di fiori spontanei come si può riconoscere un'orchidea? Probabilmente ne avrete viste molte, senza magari rendervene conto; ma per distinguere un'orchidea da un altro fiore, almeno all'inizio, bisogna armarsi di lente di ingrandimento, pazienza e voglia di conoscere.
I fiori delle orchidee europee sono più piccoli delle varietà commerciali. Di conseguenza, per farsi notare dagli insetti, si riuniscono in infiorescenze che ne aumentano la visibilità. Solo eccezionalmente i fiori sono isolati (Cypripedium).
Il fiore è ermafrodita con simmetria bilaterale (zigomorfo), ed è composto da tre sepali (o tepali esterni), due laterali e uno mediano; da due petali (o tepali interni); e da un labello, la parte più vistosa, destinata ad attirare gli insetti. L'aspetto del labello è una delle principali caratteristiche da analizzare per il riconoscimento di un'orchidea, in quanto si è trasformato nelle più svariate forme per richiamare gli impollinatori.
La parte posteriore del labello, per alcune specie (ad es. del genere Dactylorhyza), si prolunga in un canale a fondo cieco con funzione di nettario, detto sprone. L'apparato riproduttore è chiamato ginostemio ed è costituito da organi maschili e femminili saldati in un'unica struttura, collocata sopra il labello. Questa è una caratteristica esclusiva della famiglia delle Orchidaceae ed è quindi importantissima per la loro identificazione.
Schema del fiore
Le orchidee presentano semi piccoli e leggeri perché privi di endosperma, cioè del nutrimento necessario per germinare. Lunghi circa 0,5 mm e pesanti circa 10 microgrammi, si affidano al vento per essere trasportati lontano dalla pianta "madre". Tuttavia i semi hanno bisogno, per germinare, di una simbiosi con funghi microscopici del genere Rhizoctonia. Tra i due organismi si attua un "patto di non belligeranza" che permette la sopravvivenza di entrambi. Il successo di questa simbiosi è basato sull'equilibrio che i due organismi viventi riescono a stabilire. Questo processo è lungo e delicato, poiché dalla nascita di un nuovo individuo alla prima fioritura passano da 5 a 10 anni. Le orchidee compensano l'assenza di endosperma nel seme con un'elevatissima produzione, dato che una pianta in genere produce migliaia di semi leggerissimi, dispersi dal vento anche a notevole distanza. Nel 1862 Darwin calcolava che una pianta di Dactylorhiza avrebbe potuto produrre abbastanza semi da coprire, con la sua discendenza, tutta la superficie terrestre in sole tre generazioni (naturalmente se tutti avessero germinato e le piante fossero state vitali!).
Tutte le orchidee sono protette, ne è vietata la raccolta degli steli fiorali e dell'apparato radicale. Si tratta di entità molto delicate poiché è sufficiente un piccolo turbamento del terreno (come l'uso di diserbanti), l'incontrollata diffusione di animali che si nutrono delle radici (come gli istrici e i cinghiali) o interventi sul territorio (come costruzione di piste da sci) per distruggere completamente un florido habitat, il quale per molti anni o addirittura per sempre non ospiterà più nessun tipo di orchidea. Per quanto detto dovremo proteggere non tanto le singole specie in via di estinzione, ma soprattutto gli habitat che ancora permettono loro di vivere. Dal 1994 esiste in Italia un'associazione nata per divulgare la conoscenza delle orchidee e per la protezione delle stesse.
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4388
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
Un giorno in un grande giardino in mezzo a tanti fioricolorati,era nato un fiore davvero strano:brutto e storto.Tutti gli altri fiori dicevano che era il più brutto fiore fra tutti e nessuno voleva stargli vicino.Il povero fiore,triste e solo,soffriva,ma non si lamentava mai.Trascorreva le sue giornate a guardare il sole nel cielo.Gli piaceva cosi tanto il sole che,per cercare di avvicinarsi a lui,si era allungato molto.Quando il sole si spostava,anche il fiore lo seguiva girando la sua corolla.Un giorno il sole si accorse di quel fiore solo e triste che lo guardava sempre,decise di conoscerlo e gli si avvicinò.Dopo aver ascoltato la triste storia del fiore,il sole decise di aiutarlo e con i suoi raggi splendenti abbracciò il fiore,che si accese subito di un bel giallo vivo e sembrava essere quasi d'oro.Da quel giorno il fiore diventò il più alto e il più bel fiore fra tutti quelli del giardino.Diventati amici,il sole decise che meritava un nome speciale e cosi da quel giorno venne chiamato GIRASOLE
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4392
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
C'era una volta, non tanto tempo fa, in un vicino reame di S. una fantastica Calla che con la sua bellezza e la sua classe innata, viveva ammirata da tutto e tutti.
La vita per lei scorreva felice e spensierata, tra un bacio di sorella rugiada ed uno di fratello vento. Ed ogni bacio, ogni carezza, la sua meraviglia si accresceva, e la sua immagine diventava sempre più nota.
A differenza delle altre sorelle calle, però, lei era speciale. Molto speciale. A guardarla bene sembra una bellissima calla come tutte le altre, ed invece era diversa. Era l'unica per la quale valesse la pena vivere. Proprio come la rosa era importante per un piccolo principe che viveva s'un pianeta, con tre vulcani.
Un bel giorno, questa meravigliosa Calla, notò che ad ammirarla c'era anche un Viburno. Dal principio quasi non si curò di lui, così piccolo e semplice, se paragonato alla sua eleganza. Ma con silenzio e sorrisi, il piccolo fiorellino catturò l'attenzione dell'elegante Calla.
Così iniziarono a parlare. Le chiacchiere allietarono le giornate di entrambi, con risate e discorsi seri. Dopo qualche tempo, il bianco ed elegante fiore, molto curiosa per sua natura, pose una domanda: Viburno, hai tu qualcosa da dirmi, che diresti solo a me?
Fu così che il fiorellino s'emozionò e si animò tutto di fronte ad una simile dimostrazione d'interesse, e tendendo i petali verso il gambo slanciato confidò che il suo era un segreto, e glielo rivelò con un bisbiglio che profumava di dolce e di sentimeti...
La Calla si chinò e mostrando un lieve color di pesca, prese il Viburno con sè e lo strinse forte forte, rendendo quel fiorellino piccolo, il fiore più felice dell'intero creato...
Quale sia il segreto? Beh, la Calla lo sa...
La vita per lei scorreva felice e spensierata, tra un bacio di sorella rugiada ed uno di fratello vento. Ed ogni bacio, ogni carezza, la sua meraviglia si accresceva, e la sua immagine diventava sempre più nota.
A differenza delle altre sorelle calle, però, lei era speciale. Molto speciale. A guardarla bene sembra una bellissima calla come tutte le altre, ed invece era diversa. Era l'unica per la quale valesse la pena vivere. Proprio come la rosa era importante per un piccolo principe che viveva s'un pianeta, con tre vulcani.
Un bel giorno, questa meravigliosa Calla, notò che ad ammirarla c'era anche un Viburno. Dal principio quasi non si curò di lui, così piccolo e semplice, se paragonato alla sua eleganza. Ma con silenzio e sorrisi, il piccolo fiorellino catturò l'attenzione dell'elegante Calla.
Così iniziarono a parlare. Le chiacchiere allietarono le giornate di entrambi, con risate e discorsi seri. Dopo qualche tempo, il bianco ed elegante fiore, molto curiosa per sua natura, pose una domanda: Viburno, hai tu qualcosa da dirmi, che diresti solo a me?
Fu così che il fiorellino s'emozionò e si animò tutto di fronte ad una simile dimostrazione d'interesse, e tendendo i petali verso il gambo slanciato confidò che il suo era un segreto, e glielo rivelò con un bisbiglio che profumava di dolce e di sentimeti...
La Calla si chinò e mostrando un lieve color di pesca, prese il Viburno con sè e lo strinse forte forte, rendendo quel fiorellino piccolo, il fiore più felice dell'intero creato...
Quale sia il segreto? Beh, la Calla lo sa...
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4406
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
La parola Mirto deriva dal latino Myrtus che a sua volta deriva dal greco Myrtos, ma probabilmente l'origine della parola è semita.
Il sostantivo Myrtos è legato al mito greco di Myrsine, una ragazza invincibile nelle gare atletiche che venne trasformata da Pallade (divinità greca) in albero di Mirto per aver superato un giovane in una gara ginnica.
Il sostantivo Myrtos è legato al mito greco di Myrsine, una ragazza invincibile nelle gare atletiche che venne trasformata da Pallade (divinità greca) in albero di Mirto per aver superato un giovane in una gara ginnica.
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4407
da perla84
Risposta da perla84 al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
Il mirto nella storia
Questo arbusto, descritto in numerose opere sulla flora sarda o sulle piante aromatiche e medicinali dell'Italia, ebbe un ruolo simbolico sin dall'antichità.
Legato al nome di Venere, dea dell'amore, il mirto compare infatti in numerose leggende. Alcuni ritengono che la dea, dopo il giudizio di Paride, si cinse di una corona fatta con questa pianta; altri, basandosi su quanto affermato da Ovidio nelle Metamorfosi, sostengono che la dea, quando uscì nuda dalla schiuma del mare, si rifugiò dietro un cespuglio di mirto, per nascondersi dagli sguardi concupiscenti di un satiro.
Questo arbusto, descritto in numerose opere sulla flora sarda o sulle piante aromatiche e medicinali dell'Italia, ebbe un ruolo simbolico sin dall'antichità.
Legato al nome di Venere, dea dell'amore, il mirto compare infatti in numerose leggende. Alcuni ritengono che la dea, dopo il giudizio di Paride, si cinse di una corona fatta con questa pianta; altri, basandosi su quanto affermato da Ovidio nelle Metamorfosi, sostengono che la dea, quando uscì nuda dalla schiuma del mare, si rifugiò dietro un cespuglio di mirto, per nascondersi dagli sguardi concupiscenti di un satiro.
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14 Anni 10 Mesi fa #4414
da Consuelo
Risposta da Consuelo al topic Re: Le più antiche e dolci leggende sui fiori
Il Nontiscordardime, messaggero d'amore
Un tempo, in un regno prospero e felice, la giovane Daina abitava con la madre ormai vecchia in una piccola capanna dipinta di bianco, sul limitare di un campo di grano, vicino ad un ruscello che scorreva gioioso, alla quieta ombra di alberi secolari. Era bello in inverno, coi severi alberi spogli, i rami immobili contro il cielo grigio e i bruni campi silenziosi dove volavano pigramente i corvi dalle nere, lucide ali. Ed era bello in estate, sotto le fresche foglie luccicanti dove tubavano le colombe innamorate l'una dell'altra, accompagnando con il loro linguaggio d'amore il lieto scorrere del torrente d'argento.
Le donne andavano a riempire di purissima acqua i loro secchi in quel luogo incantato, ed i viandanti si sedevano per riposare e parlare con Daina, flessuosa, dolce e paziente come l'animale di cui portava il nome.
Ella lavorava filando alla rocca tessuti leggeri e preziosi per le ricche signore del regno e sognava, filando, i suoi sogni, il bel viso piegato sotto il peso dei lunghi capelli neri, raccolti sul capo in una treccia splendida, degna di una regina, i grandi occhi liquidi e scuri levati talvolta ad osservare fiduciosi chi voleva fermarsi a parlare con lei.
Un giorno, uno dei viandanti la informò che il Nobile Signore, padrone del regno, stava visitando tutte le terre che gli appartenevano, e quindi certo sarebbe giunto anche lì.
Turbata - senza nemmeno ben capirne la ragione - per la prima volta nella sua breve, placida vita, Daina corse dalla madre, per chiedere alla saggezza di lei quale mai vestito dovesse indossare per rendere omaggio al loro Signore. Quanto ai gioielli, la scelta era obbligata. Daina e la madre erano molto povere, vivevano del lavoro della fanciulla, e non possedevano che la piccola capanna bianca dove vivevano ed uno splendido gioiello, un grande zaffiro che racchiudeva in sé tutti i tenui bagliori del cielo, incastonato in una montatura degna di un re.
Quello zaffiro era appartenuto ad un possente signore del regno, che in anni ormai lontani aveva amato la madre di Daina, bella allora come ora la figlia, e poi l'aveva abbandonata, lasciandole in dono la piccola e quel gioiello prezioso.
La madre, sgomenta per il turbamento della figlia, pregò in silenzio perché la storia non si ripetesse, perché alla fanciulla così ignara fossero risparmiati il dolore dell'abbandono e del disinganno, le lacrime dello struggimento e della solitudine, ma ben sapendo che ogni cosa è già scritta, aiutò comunque la sua bella figlia ad acconciare i lunghi capelli neri e ad indossare un abito bianco come l'alba del mattino, fermandole sul seno il gioiello azzurro colore del cielo.
Finalmente il Nobile Signore passò davanti alla piccola casa di Daina, che attendeva tremando, ma, anche se vide la graziosa capanna dipinta di bianco, la giudicò troppo piccola per prestarle attenzione e passò oltre senza badare alla bellezza di quell'angolo fatato; era estate, ma preso dai gravi pensieri del suo regno, egli non vide le lucide foglie dei grandi alberi, non udì il richiamo amoroso dei colombi innamorati, non fu attratto dal fresco gorgoglio del ruscello d'argento.
Daina però non poteva tollerare il pensiero di non aver reso alcun omaggio al suo Signore.
E così, in un gesto dettato da inconsapevole orgoglio, poiché anche nelle sue vene scorreva nobile sangue, e dalla delusione di un'inconfessata speranza, lanciò verso il Principe il suo prezioso gioiello di cielo.
cielo.
Indifferente, il Principe passò col suo cavallo là dove il gioiello era caduto, e dietro a lui gli infiniti zoccoli dei cavalli di tutto il suo seguito numeroso. E il bello zaffiro si frantumò in numerose piccole schegge di luce azzurra, che riflettevano il sole.
Fu una dea pietosa che passava di lì a trasformare quelle schegge in migliaia di piccoli fiori azzurri, cui venne dato il nome di "non ti scordar di me" perché il ricordo del gesto orgoglioso e gentile della piccola Daina non andasse del tutto perduto.
Edoardo VIII, nel 1936, in un secolo dunque apparentemente privo di fiabe, rinunciò al trono di Inghilterra, assumendo il titolo di duca di Windsor, gettando così ben più che un monile di zaffiro ai piedi della donna che amava. La rinuncia al trono era infatti l'unico mezzo per rendere possibili l'anno successivo le nozze con l'americana, due volte divorziata, Wallis Simpson, che, a differenza del principe della fiaba, si chinò a raccogliere il dono.
IL duca volle che nel giorno delle nozze i "non ti scordar di me" decorassero a migliaia la loro abitazione, e che l'abito della sposa avesse quella particolare tonalità di chiaro azzurro che mostrano i petali del fiore sacro all'amore.
La piccola Daina, dal suo mondo di fiaba, deve pur aver visto tutto questo e certamente, nella sua generosità, ne ha sorriso felice.
Un tempo, in un regno prospero e felice, la giovane Daina abitava con la madre ormai vecchia in una piccola capanna dipinta di bianco, sul limitare di un campo di grano, vicino ad un ruscello che scorreva gioioso, alla quieta ombra di alberi secolari. Era bello in inverno, coi severi alberi spogli, i rami immobili contro il cielo grigio e i bruni campi silenziosi dove volavano pigramente i corvi dalle nere, lucide ali. Ed era bello in estate, sotto le fresche foglie luccicanti dove tubavano le colombe innamorate l'una dell'altra, accompagnando con il loro linguaggio d'amore il lieto scorrere del torrente d'argento.
Le donne andavano a riempire di purissima acqua i loro secchi in quel luogo incantato, ed i viandanti si sedevano per riposare e parlare con Daina, flessuosa, dolce e paziente come l'animale di cui portava il nome.
Ella lavorava filando alla rocca tessuti leggeri e preziosi per le ricche signore del regno e sognava, filando, i suoi sogni, il bel viso piegato sotto il peso dei lunghi capelli neri, raccolti sul capo in una treccia splendida, degna di una regina, i grandi occhi liquidi e scuri levati talvolta ad osservare fiduciosi chi voleva fermarsi a parlare con lei.
Un giorno, uno dei viandanti la informò che il Nobile Signore, padrone del regno, stava visitando tutte le terre che gli appartenevano, e quindi certo sarebbe giunto anche lì.
Turbata - senza nemmeno ben capirne la ragione - per la prima volta nella sua breve, placida vita, Daina corse dalla madre, per chiedere alla saggezza di lei quale mai vestito dovesse indossare per rendere omaggio al loro Signore. Quanto ai gioielli, la scelta era obbligata. Daina e la madre erano molto povere, vivevano del lavoro della fanciulla, e non possedevano che la piccola capanna bianca dove vivevano ed uno splendido gioiello, un grande zaffiro che racchiudeva in sé tutti i tenui bagliori del cielo, incastonato in una montatura degna di un re.
Quello zaffiro era appartenuto ad un possente signore del regno, che in anni ormai lontani aveva amato la madre di Daina, bella allora come ora la figlia, e poi l'aveva abbandonata, lasciandole in dono la piccola e quel gioiello prezioso.
La madre, sgomenta per il turbamento della figlia, pregò in silenzio perché la storia non si ripetesse, perché alla fanciulla così ignara fossero risparmiati il dolore dell'abbandono e del disinganno, le lacrime dello struggimento e della solitudine, ma ben sapendo che ogni cosa è già scritta, aiutò comunque la sua bella figlia ad acconciare i lunghi capelli neri e ad indossare un abito bianco come l'alba del mattino, fermandole sul seno il gioiello azzurro colore del cielo.
Finalmente il Nobile Signore passò davanti alla piccola casa di Daina, che attendeva tremando, ma, anche se vide la graziosa capanna dipinta di bianco, la giudicò troppo piccola per prestarle attenzione e passò oltre senza badare alla bellezza di quell'angolo fatato; era estate, ma preso dai gravi pensieri del suo regno, egli non vide le lucide foglie dei grandi alberi, non udì il richiamo amoroso dei colombi innamorati, non fu attratto dal fresco gorgoglio del ruscello d'argento.
Daina però non poteva tollerare il pensiero di non aver reso alcun omaggio al suo Signore.
E così, in un gesto dettato da inconsapevole orgoglio, poiché anche nelle sue vene scorreva nobile sangue, e dalla delusione di un'inconfessata speranza, lanciò verso il Principe il suo prezioso gioiello di cielo.
cielo.
Indifferente, il Principe passò col suo cavallo là dove il gioiello era caduto, e dietro a lui gli infiniti zoccoli dei cavalli di tutto il suo seguito numeroso. E il bello zaffiro si frantumò in numerose piccole schegge di luce azzurra, che riflettevano il sole.
Fu una dea pietosa che passava di lì a trasformare quelle schegge in migliaia di piccoli fiori azzurri, cui venne dato il nome di "non ti scordar di me" perché il ricordo del gesto orgoglioso e gentile della piccola Daina non andasse del tutto perduto.
Edoardo VIII, nel 1936, in un secolo dunque apparentemente privo di fiabe, rinunciò al trono di Inghilterra, assumendo il titolo di duca di Windsor, gettando così ben più che un monile di zaffiro ai piedi della donna che amava. La rinuncia al trono era infatti l'unico mezzo per rendere possibili l'anno successivo le nozze con l'americana, due volte divorziata, Wallis Simpson, che, a differenza del principe della fiaba, si chinò a raccogliere il dono.
IL duca volle che nel giorno delle nozze i "non ti scordar di me" decorassero a migliaia la loro abitazione, e che l'abito della sposa avesse quella particolare tonalità di chiaro azzurro che mostrano i petali del fiore sacro all'amore.
La piccola Daina, dal suo mondo di fiaba, deve pur aver visto tutto questo e certamente, nella sua generosità, ne ha sorriso felice.
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14 Anni 10 Mesi fa #4436
da perla84
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14 Anni 10 Mesi fa - 14 Anni 10 Mesi fa #4438
da perla84
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